Dove va a finire la nostra plastica
Commento all’articolo pubblicato su l’Internazionale del 9/10/2020
Sulla copertina del magazine “Internazionale” di qualche settimana fa, c’è un’immagine molto eloquente: vediamo la forma del continente africano , ma è sommerso dalla plastica. Le bottiglie rappresentate però, sono anonime; nella realtà, la maggior parte delle volte, si tratta di rifiuti riconducibili a colossi multinazionali e ai loro prodotti, provenienti dall’opulento mondo occidentale e appioppati ai paesi più poveri.
Dove va a finire la nostra plastica? Ci facciamo spesso l’illusione che tutta la plastica che differenziamo andrà ad essere riciclata, ma dobbiamo sapere che questo succede solo per una parte di essa. Anche nei paesi più sviluppati, come negli Stati Uniti, ad esempio, il riciclo della plastica raggiunge a stento un 9,5%. Nei paesi in via di sviluppo, dove viene dirottata la maggior parte dei nostri rifiuti, non esistono tecnologie e risorse economiche da investire nel riciclo. Il lavoro di selezione dei materiali dalle discariche, è fatto, molto spesso, dalla gente più povera, bambini compresi, a mani nude, in pessime condizioni igienico sanitarie, per pochi centesimi di dollaro al chilo.
Molta di questa plastica, quella non riciclabile, viene bruciata. In media, nel mondo ne viene bruciata il 41% del totale. In questi paesi si arriva anche a bruciarne il 75%. Altra viene riciclata in maniera pericolosa e dannosa per i fumi che vengono respirati.
Quello che viene chiamato “commercio globale dei rifiuti” è, in effetti, il trasferimento dei rifiuti, dai paesi ricchi ai paesi poveri. Seguendo l’esempio della Cina, alcuni governi stanno cercando di mettere un freno a questo andazzo. Alcuni hanno provato a rimandare i rifiuti al mittente, ma è quasi impossibile, e per un paese che li respinge, ce ne sarà un altro che accetterà di riceverli, spesso dietro pagamento di somme irrisorie (rispetto al reale costo di smaltimento).
La plastica che viene esportata, nell’esempio degli Stati Uniti, viene classificata come “riciclata”. Ma se il riciclo funzionasse davvero, i paesi ricchi lo farebbero a casa loro.
Inoltre, anche quando riuscissimo a raggiungere il 100% di recupero e riciclo della plastica, resterebbe il problema della degradazione e deterioramento del materiale, già al primo passaggio.
La ricerca riporta di come le multinazionali che producono la maggior parte degli involucri in plastica (Coca Cola, Nestlè, per citare le maggiori) investano somme ridicole nel loro “green washing”, il loro contributo per ripulire l’ambiente:
“Sono soldi investiti per poter continuare ad inquinare” dice David Azoulay, che dirige il programma di salute ambientale del Center for International enviromental law a Ginevra. “cosa pensereste se qualcuno vi dicesse: Ti do una moneta per pulire il tuo giardino e in cambio spenderò 250 dollari per metterci della spazzatura? Nessuno accetterebbe”.
Alcune organizzazioni come Clean Up Kenya, hanno chiesto a gran voce che le aziende si assumessero la responsabilità di smaltire i rifiuti. Questa rivendicazione si è dimostrata “provocatoria”, causando vere e proprie minacce nei confronti dei promotori di questa campagna.
La guerra dei rifiuti è globale
Siamo arrivati ad una vera e propria “guerra dei rifiuti”, che volge ad un momento cruciale, in cui la maggior parte dei paesi sente la necessità di un intervento urgente (vedi l’ emendamento di Basilea, del 2019).
Vedremo certamente una contrazione del settore e un lieve declino dell’industria della plastica, nei prossimi anni, o decenni. Ma è sufficiente aspettare, perché questo accada? Dobbiamo fare sì che si arrivi a disastri ambientali irreversibili per prendere delle contromisure?
Intorno a noi, ogni giorno vediamo ancora cumuli di spazzatura indifferenziata abbandonati in ogni porzione di terra incolta, che sia raggiungibile in macchina. Per non parlare dei rifiuti sotterrati che intossicano la nostra terra e le falde acquifere. Trovare le corrette informazioni sullo stato di salute del nostro ambiente, prendercene cura e andare controcorrente cercando stili di vita a basso impatto ambientale, sono oggi i nostri doveri di cittadini attivi.
La guerra dei rifiuti è globale, è dovunque, e noi ne facciamo parte, vi siamo completamente coinvolti.
Continuare a perpetuare un consumo che prevede tanti scarti, tanto spreco, è sempre più anacronistico, anche i più passivi consumatori cominciano a notare il controsenso di questi messaggi. Acquista! Usa e getta! Poi gli allarmi: è tutto inquinato, abbiamo le microplastiche nel cibo, nell’acqua!
Sfruttiamo gli animali, le risorse idriche e usiamo la chimica e la genetica per avere più cibo a basso costo, ma nel mondo un terzo della produzione totale di cibo finisce nella spazzatura.
Verso soluzioni partecipate e condivise
Per quanto riguarda il nostro argomento, anche nel momento in cui diremo basta e utilizzeremo delle alternative alla plastica e all’usa e getta, in generale, avremo comunque a che fare col problema di 8 miliardi e mezzo di tonnellate di plastica prodotta, per evitare i disastri ambientali a venire.
In questa fase, una tecnologia open source ed alla portata di tutti, come Precious Plastic, può dare un importante contributo tecnico a chi si occupa, in modo indipendente, di smistamento e riciclo dei rifiuti, soprattutto nei posti più inquinati e poveri del pianeta. In molti casi non resta che organizzarsi “dal basso” per ripulire i nostri territori, quindi ben vengano tutte le sperimentazioni e innovazioni per trovare soluzioni di riciclo e che servano a portare alla luce il problema.
Dunque, a noi! Artigiani, designers, bricoleurs, artisti, contadini e ambientalisti, abbiamo bisogno di tutta la vostra intelligenza, passione e capacità di trasformazione!
Articolo di Alice Rolli
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